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FARE PER DARE

“FARE PER DARE”

Laura Rando

Quest’anno, la prestigiosa Mela d’Oro del premio Marisa Bellisario è stata assegnata a una donna che dirige un’azienda italiana di eccellenza del settore farmaceutico. Mi è piaciuta molto la frase che ha pronunciato ricevendo il premio: “Fare per dare”.

Mi riconosco in queste parole, che esprimono il senso di una professione che per molti aspetti è anche una missione. Le donne hanno cambiato il mondo del lavoro affermando le proprie capacità. Hanno reso più innovative le loro aziende. Ma la vera innovazione è la capacità di generare cambiamento. In questo noi donne siamo bravissime: tenaci ma flessibili, intuitive, capaci di inventare soluzioni per superare ogni ostacolo.

Nel mia storia personale, tutti questi aspetti legati al cambiamento sono confluiti in un’esperienza che ha segnato le tappe del mio percorso umano e professionale.

Dieci anni fa è stato diagnosticato un tumore a mia sorella Roberta. Aveva 23 anni ed era nel pieno della sua gioventù. Un treno in corsa carico di progetti, amicizie, idee. A un tratto, quel treno si è schiantato.

I medici le hanno prescritto una serie di terapie, ma il suo corpo non reagiva alle cure. All’inizio abbiamo vissuto uno smarrimento incredulo, poi la paura, infine la reazione. La mia esperienza professionale mi ha permesso di restare lucida.

Tutto era iniziato con una banale febbre. Una volta individuata la malattia è iniziato un calvario di consulti. Euforia e disperazione a ciclo continuo. In azienda mi occupavo di infettivologia e sapevo poco di malattie ematiche. Così ho cominciato a studiare, chiedendo aiuto ai colleghi.

Prima le chemioterapie, poi la chirurgia, quindi le radioterapie. Sempre tutto inutile. Vedere un proprio caro spegnersi è un’esperienza terribile. Vuoi fare qualcosa di risolutivo ma non puoi fare quasi niente. Ti senti soffocato da un senso di opprimente inutilità.

Restava solo il trapianto di midollo. Il donatore eterologo non si trovava e così siamo entrate in scena noi: Cristina (la nostra sorella maggiore) e io.

I medici hanno scartato il mio midollo, troppo affine a quello di Roberta. Conoscevamo i rischi del trapianto, ma non immaginavamo quelli della donazione. L’eventualità di una paralisi, addirittura il pericolo di morte. È stato un momento molto difficile.

Abbiamo avuto fortuna e dopo dieci anni di buio siamo tornate a vedere la luce. Noi siamo di Genova, una città splendida, stretta tra il mare e i monti. Ci sono serate che regalano tramonti mozzafiato, il vento largo che increspa l’acqua, le nuvole che scivolano sui tetti d’ardesia. Mia sorella è tornata a vivere le piccole emozioni quotidiane. Cose da niente, attimi della vita che si apprezzano solo dopo essere sfuggiti alla morte.

La malattia può anche essere vista come una sfida con sé stessi: qualcosa di misterioso che ci portiamo dentro e che ci stimola al cambiamento.

Momenti significativi, il nostro tesoro più grande.