fbpx Skip to main content
 

Cerca

Questo è il tuo cervello con la schizofrenia: come si manifesta la malattia e cosa stanno facendo i ricercatori per fornire un aiuto

Neuroscienze

Neuroscienze

Nerve fibers
Nerve fibers
Questo è il tuo cervello con la schizofrenia: come si manifesta la malattia e cosa stanno facendo i ricercatori per fornire un aiuto

Anche se non conosci nessuno affetto da schizofrenia, c’è la possibilità che tu conosca i sintomi.

Le persone colpite da questa malattia possono soffrire di allucinazioni, visioni e paranoia, nonché avere difficoltà a concentrarsi, organizzare i propri pensieri e portare a termine semplici attività della vita di tutti i giorni.

Per molti anni, i medici hanno avuto una scarsa comprensione della malattia, a parte i sintomi riportati dai pazienti. La causa della schizofrenia e il modo in cui colpisce il cervello, erano un mistero per colpa delle eccezionali sfide che i ricercatori hanno dovuto affrontare per provare a capire l’organo più complesso e meno accessibile del corpo umano.

Ma oggi, con l’aiuto delle nuove tecnologie, si comincia a fare un po’ di luce su questo mistero.

“Negli ultimi anni abbiamo assistito ad eccezionali progressi nella comprensione e nella gestione della schizofrenia”, afferma Husseini Manji, M.D. Responsabile dell’area terapeutica globale, Neuroscienze in Janssen. “È davvero un momento molto entusiasmante in questo campo.”

La possibilità di fornire nuove terapie a chi è affetto da schizofrenia è in parte ciò che ha attratto il Dott. Manji in questa azienda nel 2008, quando era direttore del National Institute of Mental Health Mood e dell’Anxiety Disorders Program.

“Numerose aziende farmaceutiche hanno provato a convincermi ad unirmi a loro, ma Johnson & Johnson era impegnata nelle neuroscienze in un momento in cui molte di queste aziende si allontanavano da questo campo”, spiega il Dott. Manji. “La scienza delle malattie mentali è progredita al tal punto che può essere trasformata in progressi nei trattamenti per condizioni come la schizofrenia.”

Per l’1% della popolazione adulta degli Stati Uniti che soffre di schizofrenia, cioè quasi 2,5 milioni di persone, i progressi nella comprensione e nel trattamento di una malattia così complicata non sono mai troppo prematuri.


Husseini Manji, M.D.
, Responsabile dell’area terapeutica globale per le Neuroscienze in Janssen

La schizofrenia è una malattia mentale tra le più debilitanti, che si sviluppa tipicamente negli ultimi anni dell’adolescenza o dopo aver compiuto 20 anni. Le conseguenze possono essere devastanti. Chi è colpito da schizofrenia corre un maggior rischio di essere disoccupato, rimanere senza fissa dimora ed essere messo in carcere. Circa un terzo di queste persone tenterà il suicidio, e circa uno su 10 si toglierà la vita.

Anche se i ricercatori sanno che la schizofrenia è fondamentalmente una patologia genetica, ben poco si sa sulle basi biologiche di questa patologia. Ma grazie ai progressi nell’imaging del cervello, scienziati come il Dott. Manji stanno iniziando ad avere un quadro più chiaro dei cambiamenti che il cervello subisce nelle persone con schizofrenia, modifiche che sembrano verificarsi anche prima che si manifestino i sintomi clinici.

Studio del cervello di una persona affetta da schizofrenia

Nel corso dell’ultimo decennio, numerosi studi di imaging del cervello hanno evidenziato prove di anormalità strutturali in pazienti affetti da schizofrenia, fornendo ai ricercatori indizi sulle principali cause biologiche della malattia e su come progredisce.

Uno studio durato 15 anni, parzialmente finanziato da Janssen e pubblicato sull’American Journal of Psychiatry, ha rivelato che i pazienti al primo episodio di psicosi hanno meno tessuto cerebrale rispetto agli individui sani. Anche se la mancanza sembra stabilizzarsi nel corso del tempo, ricadute prolungate di psicosi sono state associate ad un ulteriore calo.

“Da studi post-mortem precoci sul cervello delle persone colpite da schizofrenia, sappiamo che avevano meno ramificazioni di neuroni e sinapsi, che permettono ai neuroni di comunicare”, spiega Scott W. Woods, M.D., professore di psichiatria e direttore della PRIME Psychosis Prodrome Research Clinic presso l’Università di Yale. “Quindi, crediamo che sia questo ad incidere sulla riduzione del tessuto cerebrale che osserviamo nelle scansioni.”

Anche se tutti subiscono una normale diminuzione di un po’ di materia grigia, che contiene neuroni e le loro piccole ramificazioni, durante l’adolescenza, gli esperti teorizzano che il processo può diventare troppo rapido o aggressivo in persone a rischio elevato di schizofrenia, scatenando psicosi.

Studi di imaging hanno rivelato una mancanza sia di materia grigia che bianca nel cervello delle persone affette da schizofrenia. Anche se tutti subiscono una normale diminuzione di un po’ di materia grigia, che contiene neuroni e le loro piccole ramificazioni, durante l’adolescenza, gli esperti teorizzano che il processo può diventare troppo rapido o aggressivo in persone a rischio elevato di schizofrenia, scatenando psicosi.

Anche lo sviluppo anomalo di materia bianca, che contiene fibre nervose lunghe, ricoperte da mielina, che collegano i quattro lobi del cervello, può essere un punto critico per alcune persone predisposte a questa condizione. Uno studio pubblicato in NeuroImage: Clinical suggerisce che ciò può essere associato ai sintomi cognitivi manifestati dalle persone affette da schizofrenia, come disfunzioni nell’apprendimento e nella memoria, nonché apatia e mancanza di motivazione.

Cosa causi queste perdite è ancora un mistero, ma la teoria prevalente punta all’infiammazione, un fattore che contribuisce al progredire di molte malattie. Due anni fa, dei ricercatori britannici hanno scoperto un aumento dell’attività delle cellule immunitarie nel cervello delle persone colpite da schizofrenia e delle persone a rischio per questa malattia. Non è chiaro cosa potrebbe stimolare il processo infiammatorio, ma studi precedenti hanno mostrato un collegamento tra le infezioni nei primi anni di vita e la schizofrenia.

“L’infiammazione è uno dei meccanismi che rimuove le ramificazioni di sinapsi e neuroni nel cervello quindi, se si è manifestata con un grado eccessivo, ciò può essere la causa della perdita”, spiega il Dott. Woods.

Modi innovativi per aiutare a proteggere il cervello

Per gli scienziati di Janssen, queste anomalie cerebrali sottolineano l’importanza del curare le persone nella fase precoce della schizofrenia e identificare nuovi modi per ridurre i danni causati da continue ricadute.

Una significativa area di ricerca in Janssen si dedica a migliorare l’aderenza alla terapia. È un problema per qualsiasi medico che tratta condizioni croniche, ma è particolarmente difficile per chi lavora con pazienti affetti da schizofrenia. Solo circa il 50 percento dei pazienti assumono i loro farmaci come prescritto, creando un ciclo di ricaduta e ripresa dai sintomi difficile da arrestare e che può ridurre la risposta ai trattamenti.

“Sfortunatamente, la natura della schizofrenia limita la conoscenza della malattia da parte delle persone affette”, dice il Dott. Manji. “Non appena un paziente inizia a sentirsi meglio, spesso interrompe la cura. Ma diversamente dalle persone che hanno il diabete, ad esempio, che avvertono le conseguenze di una dose mancata di insulina entro poche ore, i pazienti affetti da schizofrenia che interrompono l’assunzione di farmaci antipsicotici potrebbero non manifestare i segni di una ricaduta per settimane.”

A questo punto, gli scienziati di Janssen si sono concentrati ad aiutare a combattere questo ciclo problematico di ricadute attraverso lo sviluppo di farmaci antipsicotici iniettabili a lunga durata che i pazienti possono assumere meno frequentemente rispetto ad altri trattamenti.

Per aiutare ulteriormente i pazienti a difendersi dagli effetti dannosi di continue ricadute, gli scienziati in Janssen stanno anche studiando modi per identificare le persone ad alto rischio di ricadute, utilizzando dati raccolti attraverso smartphone, tracker della salute e sensori sul corpo.

I farmaci iniettabili a lunga durata sono somministrati da operatori sanitari; così se un paziente salta una dose, il team di cura ne è a conoscenza e può intervenire.

Per aiutare ulteriormente i pazienti a difendersi dagli effetti dannosi di continue ricadute, gli scienziati in Janssen stanno anche studiando modi per identificare le persone ad alto rischio di ricadute, utilizzando dati raccolti attraverso smartphone, tracker della salute e sensori sul corpo.

“Vogliamo sapere se fattori di monitoraggio come sonno, livello di attività, coinvolgimento con gli altri e altri biomarcatori possono fornire ai medici segnali di allerta precoci della possibilità che una persona abbia una ricaduta” spiega il Dott. Manji. “Questa informazione può dare ai medici l’opportunità di identificare e raggiungere quei pazienti che iniziano a stare male, invece che attendere che tornino per l’appuntamento programmato.”

Includere una tecnologia sanitaria nella pianificazione della cura dei pazienti potrebbe fornire ai medici anche informazioni più oggettive sull’esatta situazione della persona. I dati dimostrano che, quando ai pazienti viene chiesto come si sono sentiti durante le settimane precedenti, la loro memoria si concentra principalmente su uno o due giorni prima. Ma con più dati misurabili e a lungo termine a disposizione, i medici possono non solo avere un’idea più chiara sulle condizioni del paziente, ma possono anche usare il tempo a disposizione con il paziente in modo più costruttivo.

“Se i pazienti sono stabili e non devi utilizzare troppo tempo solo per affrontare i sintomi psicotici, puoi concentrarti su modi costruttivi per aiutare i pazienti a tornare a vivere nuovamente la loro vita”, dice il Dott. Manji.

Trattare il paziente in modo completo, non solo i sintomi

Per migliorare davvero la vita delle persone affette da schizofrenia, i ricercatori sono impegnati non solo a sviluppare nuovi farmaci, ma anche a far progredire cure integrative. Il Dott. Manji afferma che il lavoro in Johnson & Johnson lo ha attratto perché l’azienda condivideva la sua convinzione che la medicina deve andare oltre alle pillole, per dare alle persone affette da schizofrenia i migliori risultati possibili.

Dice: “Vogliamo che le persone capiscano che l’approccio alla schizofrenia con un modello di cura più olistico e integrato è senza dubbio il modo migliore di procedere”. “Le malattie mentali hanno un impatto maggiore su tutti gli aspetti della vita di una persona, sulla salute fisica, sul comportamento e i rapporti con gli altri. I pazienti hanno bisogno di diversi tipi di intervento, non solo di farmaci.”

In Janssen, un’area di ricerca è il ruolo chiave che hanno i caregiver, e le sfide che devono affrontare, nel trattamento e nella gestione delle persone affette da schizofrenia. Attualmente è in corso l’arruolamento di pazienti per uno studio clinico della durata di cinque anni, intitolato Family Intervention in Recent Onset Schizophrenia Treatment (FIRST). I ricercatori hanno pianificato la valutazione degli effetti complessivi che i caregiver possono avere sulle persone di cui si prendono cura, mentre partecipano ad un’educazione psicologica per i caregiver fornita dallo studio e a un programma di formazione delle competenze. La speranza è che questo tipo di programma possa aiutare a ridurre il numero di trattamenti non riusciti, come ospedalizzazione psichiatrica e suicidio o tentativi di suicidio.

Il profondo impegno dell’azienda nel migliorare la vita dei pazienti si riflette anche nelle sue iniziative di collaborazione con ambienti academici, le autorità e il settore delle biotecnologie. “La malattia è così complessa che dobbiamo lavorare insieme per far progredire la ricerca”, afferma il Dott. Manji.

Nel 2015, Janssen Research & Development ha lanciato il progetto Open Translational Science in Schizophrenia (OPTICS), un forum per l’analisi collaborativa dei dati degli studi clinici di Janssen e dei dati sulla schizofrenia messi a disposizione pubblicamente dai National Institutes of Health.

L’azienda è anche un partner del settore in un consorzio creato di recente e guidato dalla Johns Hopkins School of Medicine e dal Salk Institute for Biological Studies, progettato per migliorare la qualità della tecnologia delle cellule staminali pluripotenti indotte, uno strumento che permette agli scienziati di raccogliere cellule della pelle da pazienti affetti da disturbi mentali e convertirle in neuroni. Creando un modello neuronale della schizofrenia utilizzando cellule derivate dai pazienti, i ricercatori sperano di acquisire nuove conoscenze sul meccanismo alla base della patologia, al fine di sviluppare trattamenti più mirati.

Il Dott. Manji crede che questo tipo di lavoro innovativo porterà non solo a nuovi trattamenti per la schizofrenia, ma anche a metodi per ritardarla e potenzialmente anche prevenirla.

“Sappiamo che la schizofrenia, come molte malattie, non colpisce le persone all’improvviso”, spiega. “La malattia si forma prima che la persona sviluppi una psicosi conclamata e, prima inizia il trattamento, migliore sarà la prognosi a lungo termine per il paziente.

Se possiamo identificare le persone che sono a rischio di sviluppo della schizofrenia, e capire cosa succede a queste persone nello stadio precoce, possiamo potenzialmente modificare l’intero percorso della malattia.”

Questo articolo, scritto da Jessica Brown, è apparso per la prima volta su www.jnj.com nel maggio 2017.