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DALLA SERENISSIMA ALLA SERENITÀ

“DALLA SERENISSIMA ALLA SERENITÀ”

Alessia Brigido

Quando studiavo per diventare ingegnere biomedico pensavo che sarebbe stato naturale dedicarmi alla ricerca. Ma dopo un anno di laboratorio ho capito che desideravo un futuro diverso. Non m’interessava quel tipo di precariato permanente, sempre in bilico tra il sogno e la realtà. Desideravo una vita piena, che mi chiedesse tanto ma che mi offrisse molto. Così ho cambiato prospettiva e mi sono dedicata allo sviluppo informatico degli ospedali. Ho partecipato alla realizzazione di progetti come la firma digitale e la pubblicazione elettronica dei referti cartacei. Sono stati anni di lavoro intenso, spesso notturno, con un grande coinvolgimento personale. Abbiamo aperto nuove frontiere nel settore medico. È stato molto impegnativo, ma al tempo stesso gratificante.

Poi sono stata assunta da un’azienda di Milano e ho cominciato ad andare avanti e indietro da Venezia, la mia città. Io amo Venezia: le sue architetture, le sue acque, la sua gente. Non è facile per noi lasciare la laguna, così ho scelto di vivere da pendolare, nonostante mi fossi sposata e fossi diventata mamma. È stato un periodo faticoso e difficile, che definirei di “separazione interiore”. Avevo la testa da una parte e il cuore dall’altra.

Alla fine abbiamo deciso di trasferirci a Milano. Abbiamo avuto molti dubbi, ma nessun ripensamento. La separazione tra gli affetti e il lavoro era diventata insostenibile. In genere, lavoro e famiglia sono considerate sfere distinte dell’esistenza, invece sono la nostra vita. La loro unione è la nostra vita.

Oggi ho la fortuna di lavorare in un’azienda dove il livello di preparazione è altissimo, ma è altrettanto alto il coinvolgimento umano. Il gruppo tende a diventare una seconda famiglia, dove si intrecciano la dimensione professionale e quella personale. Ogni individuo è considerato per ciò che vale e che produce, senza discriminazioni. Un atteggiamento raro, almeno in Italia.

Abbiamo moltissime donne nei ruoli di vertice. Credo che questo abbia un peso nel creare un clima sereno, accogliente, dove ciascuno si senta libero di agire. Noi donne portiamo negli ambienti che frequentiamo la nostra personalità, sempre molto sfaccettata. Penso alle donne come a dei prismi con tanti lati che riflettono la luce: ogni faccia un’esperienza, un sentimento, un’emozione da condividere.

Ogni donna custodisce il bisogno di generare benessere, offrire attenzione e cura. I nostri farmaci sono come figli che vediamo crescere. Li teniamo per mano e li seguiamo fino a quando arrivano a chi soffre. È un percorso bellissimo, che nel futuro vorrei vedere sempre più efficiente. Trovo francamente eccessivo il ritardo nella diffusione in Italia di farmaci già disponibili all’estero. L’innovazione scientifica non conta, se i farmaci non arrivano ai pazienti.